Viaggi e odori - La nostalgia del viaggio di Kipling

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Curioso di conoscere la gente comune che agisce più che perdersi in analisi e discorsi, Kipling ha seguito i soldati nelle spedizioni di guerra, i marinai nelle manovre navali, i macchinisti alla guida delle locomotive, i nomadi nelle loro tende. Spinto dal desiderio di comprendere i diversi aspetti della vita e le varie forme di esistenza, ha voluto incontrare ogni tipo di persona, dall'uomo d'affari al vagabondo, dall’ufficiale preoccupato del benessere dei suoi soldati all’umile addetto alle caldaie. Desideroso di avere nuove esperienze, di circondarsi di nuovi paesaggi, di venire a contatto con avvenimenti nuovi e diversi, si è inserito spesso in altre esistenze e in altri mondi. Dalle sue innumerevoli peregrinazioni, ricche di incidenti ma fertili di nuove esperienze, ha riportato una grande ricchezza d’immagini, una collezione di caratteri che ritroviamo nei personaggi così vivi ed espressivi dei suoi libri, inseriti nella magnifica trama delle loro avventure. Il lettore sente che egli ha passato lunghe ore ad ascoltarli parlare, ad osservarli, nel tentativo di apprenderne i segreti della vita.

Le navi erano una delle sue grandi passioni. Durante le sue numerose traversate oceaniche, non era raro vederlo chiedere ai marinai e ai macchinisti informazioni che trascriveva accuratamente sul suo taccuino. E nei suoi numerosi racconti e poesie sul mare, ambientati al tempo in cui i battelli a vapore e i piroscafi stavano sostituendo i maestosi velieri, ritroviamo la fierezza e la nobiltà dei marinai, il loro duro lavoro, le giornate monotone e prive di eventi, il coraggio nell’affrontare tempeste e burrasche, le voci e i canti all’unisono, per scandire i movimenti.

Nel libro l'Egitto dei maghi (Egypt of Magicians), Kipling sostiene che è l’ambiente che fa l’uomo e il mare e il deserto producono il loro tipo d’uomo. Egli aveva incontrato l’uomo prodotto dal deserto ai bordi del Mar Rosso, dove i contrabbandieri di hashish  - quell’hashish “che puzza orribilmente, peggio di un cammello sudato” - venivano sbarcati dai dhows, i vascelli arabi, in punti convenuti della spiaggia, ov’erano ad attenderli veloci cammelli. Agli uomini prodotti dal mare esso parla di avventure e di misteri e risveglia ricordi che giacciono nel profondo dei sensi e che si legano a reminiscenze che non possono essere raggiunte in altro modo. Anche dal ponte di Londra, di questa città composta “per metà di nebbia e sporco e per metà di nebbia e rumore”, si può odorare il mare. In Salt water unbounded. egli scrive: “Un londinese, a zonzo sul London Bridge, può sentire il profumo salino del mare portato dal vento che soffia sul Tamigi. Esso gli fa sentire un tocco di romanticismo e provare un moto di tenerezza, perché i venti marini parlano al cuore degli inglesi, anche di quelli che il mare non l’hanno mai visto, ma ne conservano  il fascino nel sangue.

Gli inglesi perirebbero presto nella loro isola, se non lasciassero aperte le porte dell’oceano.” I grandi battelli sono anche il simbolo dell’espansione inglese e Kipling li usa per rappresentare la stessa Inghilterra, raffigurata come una nave che ha al timone i suoi saggi e intraprendenti capitani, diretti nelle diverse parti del mondo. Anche in Capitani coraggiosi il mare è protagonista ed è descritto con una tale carica suggestiva da farci sentire quasi fisicamente le onde che si infrangono sui bastioni frangiflutti e l’odore del mare portato dagli spruzzi che urtano contro la chiglia. In A matter of fact, dalle profondità delle acque tropicali emerge un grande serpente marino cieco, un mostro tutto bianco che emana un forte odore di muschio. Su questa avventura marina inverosimile Kipling costruisce un percorso immaginativo pieno di mistero e trasmette al lettore la sensazione che possa accadere qualsiasi cosa. A poco a poco, egli lo prepara ad accettare avvenimenti che, per quanto impossibili, sono la conseguenza dell’imprevedibilità delle leggi delle grandi distese d’acqua.      
        
La sua sensibilità agli odori gli derivava forse dal fatto di essere nato in India. Sin da ragazzo, aveva dedicato ad essi una grande attenzione e manifestato una grande capacità nel descriverli. Nelle sue opere, troviamo anche descrizioni di odori di cui aveva fatto esperienza  tanto tempo prima. All’età di dodici anni, egli aveva lasciato Southsea per trasferirsi nel college in Devon e aveva compiuto quel viaggio in uno stato d’animo sconsolato e depresso. Nella sua mente, quel trasferimento rimase sempre associato a “ un debole odore di gas di scarico delle auto” e all’odore di “calzoni e cappotto bagnati”. La descrizione di quel viaggio, effettuato in compagnia del preside dell’istituto, che era un amico di famiglia, venne fatta molti anni dopo.

Una caratteristica importante della produzione letteraria di Kipling riguarda il  meccanismo evocativo messo in moto dagli odori, la capacità che essi hanno di richiamare alla mente ricordi che sembravano dimenticati. Quando, all’età di diciotto anni, egli ritornò a Bombay sulla nave Brindisi e si ritrovò nel paesaggio della sua prima infanzia, gli sembrò di tornare a un’esistenza precedente: “La vista e, soprattutto, gli odori mi riportarono alla vita di allora. Mi ritrovai a proferire in modo  automatico frasi e parole di cui ignoravo il significato.” In Letters of Travel è descritta un’esperienza analoga, nella quale il profumo dell’ibiscus e della poinsettia fanno  sciogliere  la sua lingua in parole e frasi che credeva dimenticate.

Durante il suo viaggio in Canada, descritto in  From tideway to tideway, un soffio di autentica primavera inonda l’interno della sua carrozza ferroviaria e lo induce a uscire sulla banchina, a gioire della bella stagione.e dei profumi che essa porta con sè. In Letters to the Family - The Fortunate Towns Kipling si sofferma sui grandi spazi aperti di Winnipeg, porta d’ingresso della prateria americana. “Qui, lo spazio è più ampio della maggior parte degli spazi e l’aria leggera è diversa da ogni altra che abbia  mai spirato perché ritorna al Polo non ostacolata. La terra aperta trattiene in sommo grado il segreto della sua magia, come fanno il mare o il deserto...” Ma tutto questo non gli basta, se a un certo punto l’amore per la terra natia lo afferra e lo fa esclamare: “Vorrei ritrovare l’afa e la polvere…sarei sofferente nella carne, ma avrei l’anima in pace.”

Kipling situava a Port Said la divisione fra mondo occidentale e mondo orientale. Là dove le palme si stagliano contro il cielo e le acque tropicali sembrano zaffiro frantumato,  l’odore della terra straniera e la cadenza di lingue sconosciute acuiscono nel viaggiatore la nostalgia di casa, sommergendolo in un torrente impetuoso di ricordi familiari. Là comincia lo sfavillio dei colori e dei profumi d’oriente, la cui descrizione scade facilmente nel convenzionale. Ma Kipling è un osservatore lucido e critico, sempre aderente alla realtà e poco incline ai voli pindarici. Così, l’odore percepibile sulle vette himalaiane, lungo la strada che porta in Tibet, è descritto in The Broken Man come  un misto di  incenso e di lezzo di capra. Kim, ragazzo britannico nato in India e protagonista del libro omonimo, al calar della notte sente un odore “di fumo di legna e di bestiame, insieme a un buon profumo di torte di grano cotte sulla brace.” In un altro punto di questo libro, si parla del tagete, le cui foglie spezzate emanano un caratteristico odore pungente e del gelsomino, il cui profumo intenso riesce a coprire l’odore acre della polvere. In The Edge of the East Kipling dice che a Bombay è l’odore dell’intera Asia che viene incontro al viaggiatore. Esso raggiunge le navi quando sono ancora parecchie miglia al largo e riempie il naso dei passeggeri sino a quando essi non sono lontani. E’ un odore forte e aggressivo, che può creare pregiudizi nella mente dello straniero, ma che tuttavia coabita con quello, più gentile e insinuante, portato dalla brezza leggera che spira allo spuntar del giorno, e che sa di terra umida, di bambù, di fumo di legna, di cibo locale e che, nell’insieme, è un odore confortante.

Non è possibile, dice Kipling, attraversare le strade avare di spazio delle città orientali senza incontrare sporcizia e sudiciume, che la calura trasforma in aria densa, greve e stagnante. Ed egli descrive in più occasioni questi odori sgradevoli. L’odore di Calcutta viene definito il Big Calcutta Stink: “Nel freddo mattutino, un fumo denso, prodotto dalla combinazione di tutti i  cattivi odori, animali e vegetali, che la città fabbrica giorno e notte, è sospeso sopra al mare di tetti.” Il risveglio della città, con la sua esplosione di vita, di movimento e di umanità avviene contemporaneamente al dilagare di questo fumo, che aggredisce la gola. Ma anche di notte  “l’aria è pesante e carica di un fetore indistinto, acre – l’essenza stessa di abomini a lungo trascurati - e non riesce a disperdersi, imprigionata com’è in mezzo alle case. C’è un’immobilità totale di cose e persone. Non vi sono luci. Un patio emana un odore disgustoso che si insinua in tutte le stanze...” Se a Benares e in alcune zone di Peshawar la puzza è più ripugnante perché la sporcizia è concentrata in un piccola area, Calcutta detiene il primato dell’estensione della zona nauseabonda. E a differenza di Bombay, che copre i suoi odori  con un mantello aromatico di assafetida e di tabacco huqua, Calcutta è senza speranza. “Non è possibile far risalire a un’origine particolare il suo indescrivibile e insalubre odore, che non è tipicamente indiano. Esso assomiglia a quello originato dal processo di decomposizione delle sostanze biologiche o all’odore vischioso della melma. Non c’è scampo alle sue folate e ai suoi vortici. Spira negli spazi aperti, traboccando da vicoli e viuzze secondarie. Lo si percepisce persino alla stazione Howrah, perché è più forte anche del fumo dei motori. La sua presenza è intermittente. Può capitare di respirare sei boccate d’aria quasi pura, poi arriva la settima come un pugno nello stomaco.”

Se si vive a Calcutta abbastanza a lungo, si finisce col farci l’abitudine, come dicono i residenti, che aggiungono:  “Aspettate che soffi il vento che porta i miasmi dei Laghi Salati, dove confluiscono tutte le fognature e poi sentirete veramente qualcosa!” In The City of the Dreadful  Night, Kipling descrive una passeggiata notturna in un quartiere povero e sovraffollato nella parte vecchia di Lahore. “Alla puzza si unisce l’odore malsano del chandu-khana, l’oppio che viene lavorato per essere trasformato in morfina e cocaina.”  E poco oltre: “Si torna a casa  quando fa giorno, in una vettura noleggiata che odora di narghilè, di fiori di gelsomino e di legno di sandalo: molta parte della vera vita indiana si svolge di notte.”   

Un’altra caratteristica di Kipling, presente in molti suoi libri, è un sentimento di ambivalenza verso le sue due patrie e le loro culture. Quando è lontano dall’Inghilterra, egli ne parla con un desiderio pieno di rimpianto. “Oh, Signore, una  sniffata d’Inghilterra!”. Ma quando si trova nella nebbia di Londra, il mondo luminoso dell’Asia si manifesta dentro di lui con la seduzione del suo profumo e dei suoi colori, come un miraggio stregato, dal fascino tenace e irresistibile. “Se hai sentito il richiamo dell’Oriente, non puoi più pensare a nient’altro che al sole, al vento fra le palme, a quell’odore di spezie e di aglio…”

Egli esprime la sua ambivalenza in molte altre occasioni, ricorrendo a un gioco continuo di rimandi nostalgici. In India, ha il rimpianto del paesaggio e dei profumi di casa, in Inghilterra desidera ardentemente sentire il profumo del cedrus deodara e del champac, la pianta dai fiori profumati, che cresce vicino ai templi buddisti. La nostalgia è una sensazione amara e acuta, con sfumature diverse a seconda dell’età. Da giovani è quasi un malessere fisico, quando si è più avanti con gli anni è un rimpianto profondo per il passato o per l’altrove, il paese dal quale si è lontani e al quale ci trasporta qualche evento. Ma per Kipling, la separazione dei due mondi sul filo della nostalgia è spesso più apparente che reale. Dentro di lui, per molto tempo le due patrie si congiungono e si sovrappongono. In Christmas in India la ricorrenza del Natale gli fa rimpiangere l’Inghilterra. “Ricordo il mio primo Natale in India, la tristezza delle giornate calde e polverose, il cielo color zafferano, la polvere sulla strada maestra, gli odori nelle vie traverse, mentre a casa  stavano intrecciando i rami del vischio e dell’agrifoglio, alternando le bacche bianche a quelle rosse…” E aggiunge “Qualche commerciante indiano o qualche amico avrebbe potuto procurarci l’agrifoglio o il vischio, facendolo arrivare dall’Himalaia.”

Ma si capisce che non sarebbe stata la stessa cosa, perché le condizioni ambientali non concorrevano a creare la giusta atmosfera, quella descritta in My Sunday at Home, data dalla piacevole calma della festa e dalla dolcezza della campagna inglese. L’incanto di un giorno di maggio lo trova contento di essere vivo e di lasciarsi andare alla deriva, in balia del Fato e del Tempo: “Che paradiso questa terra grassa e lavata, con l’erba ben tosata. Un uomo potrebbe bivaccare in un qualsiasi spazio aperto e sentirsi più al sicuro che se fosse all’interno di un palazzo monumentale in una città straniera. Le siepi di arbusti ben curate, le strade regolari, i modesti cottage di pietra grigia, i fitti boschetti, i boschi cedui periodicamente tagliati, i biancospini dalle rosse drupe, i vecchi alberi…una leggera folata, come di cocco fresco, mi dà la certezza che da qualche parte qui intorno, nascosta alla vista, la ginestra dorata sia in fiore.”

E su questa pianta dai fiori gialli e odorosi ritorna in un altro punto del libro: “Gli amanti della campagna inglese ricorderanno l’avvolgente profumo della ginestra…” E più oltre: ”C’era un buon odore nell’aria - un odore di fumo e di ortiche schiacciate - un odore che fa venire un groppo in gola all’uomo che raramente torna al suo paese, un odore che trattiene l’eco di conversazioni d’amanti perdute per sempre; l’odore, infinitamente suggestivo, di una civiltà che risale a tempi immemorabili…”. Accanto alle sensazioni assaporate con l’olfatto, egli menziona spesso anche quelle recepite attraverso il gusto.

In occasione di una sua visita alla Casa Bianca, avvenuta quando il Presidente degli Stati Uniti era Stephen Grover Cleveland, egli scrisse, a proposito dei politici incontrati, di essere rimasto disgustato da quel colossale coacervo di mascalzoni puzzolenti, aggiungendo però subito che, politici a parte, il cibo era una cosa da sogno. In The Bull that Thought, del 1924, lo champagne degustato nel corso di una cena per celebrare un certo avvenimento è così descritto: “La bevanda, profumata e vellutata, fra il fulvo chiaro e il topazio, non è troppo dolce né troppo secca…” Per lui, la sensitività fisica è espressione di esuberanza e vitalità, come dimostra questo testo : “Dopo essere stati impegnati per quattro ore in esercizi acrobatici, dopo aver mangiato e bevuto sino a non poterne più, stravaccati nella frescura di un profondo fossato, con la testa immersa nel tabacco verde e profumato e con la mente alla deriva, sotto a un cielo perfettamente terso, di un blu reale, con un’unica piccola nuvola... La terra non ha nulla di meglio da offrire ai suoi figli di questo piccolo, delizioso benessere animale.”

I protagonisti di molte delle storie di Kipling sono militari, tanto che lo scrittore è stato considerato da molti uno scrittore per soldati, oltre che per bambini. E la magia degli odori che evocano ricordi o risvegliano emozioni cattura anche loro. Un soldato australiano, mentre cavalca sotto la pioggia battente, quando gli odori sono più facilmente individuabili dei suoni e del paesaggio, è catturato “dal profumo dei fragranti fiori dorati dell’acacia, che fa vibrare le corde del cuore.” E ancora: “L’odore dell’erba che brucia mi riporta nella giungla birmana, mentre un vento dolce, che spira da ovest, mi fa tornare in mente la memoria dolorosa di vecchi amici che non sono più.”
 

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